Oltre la logopedia
Di Alessia Fuselli, logopedista
Non è affatto semplice dare forma a ciò che è accaduto in questi due anni di corso Osservativo. È stato un periodo di profonde trasformazioni, in cui la realtà clinica logopedica ha assunto una nuova profondità. La verità è che non è cambiato solo il mio approccio, ma sono cambiata soprattutto io e, di conseguenza, il mio modo di guardare e osservare i miei piccoli pazienti e le loro famiglie.
Essendo io una logopedista, e non una psicologa – come gran parte degli studenti – la partecipazione a questo percorso mi ha offerto una lente d’ingrandimento decisamente inattesa. È stato come vedere davvero per la prima volta. Non si tratta più solo di decifrare i sintomi o classificare i disturbi del linguaggio o della comunicazione, ma di cogliere quello che molto spesso è invisibile, il dispiegarsi delle relazioni tra il bambino e i suoi genitori. Ho imparato a vedere, con occhi nutriti dalla teoria psicoanalitica, il complesso e spesso doloroso groviglio di emozioni e intenzioni che sottende le difficoltà linguistiche e comunicative.
Con una sensibilità rinnovata, ho potuto accostarmi alla frustrazione e alla solitudine che il bambino sperimenta. Ogni volta che il desiderio di articolare il proprio pensiero si scontra con l’impossibilità, si crea un non-detto. È in questo scambio relazionale primario che l’osservazione psicoanalitica trova e svela il suo significato più profondo.
Il culmine di questo triennio – due anni di osservazione clinica seguiti dal terzo dedicato alla stesura della tesi – si è concretizzato in un vero e proprio sogno a occhi aperti: la proclamazione direttamente nella sede di Londra, alla Queen Mary University of London, a Settembre 2025.
L’esperienza è stata un concentrato di pura emozione, una profonda felicità per l’obiettivo raggiunto e, soprattutto, un’immensa gratitudine per la possibilità di aver integrato una prospettiva così ricca e trasformativa nella mia pratica professionale. Questo percorso non è solo un titolo in più; è la promessa di una clinica più attenta e infinitamente più profonda.
A conclusione di un percorso
Di Elena Coletti, logopedista
Qualche giorno fa riflettevo con la mia tutor, Anna Molli, di quanto a volte, nello scrivere, si entri in un meccanismo continuo di ricerca della parola perfetta, procedimento che sottintende, in effetti, la percezione che talvolta le parole sembrino insufficienti per descrivere ciò che si vuole raccontare.
È passato poco più di un mese dalla Graduation Ceremony del Master M7 alla Qeen Mary University of London e la sensazione, nel mettermi a scrivere, è proprio questa.
Anche nei giorni a seguito della cerimonia, di fronte alle varie domande su come fosse stato l’evento, la mia risposta è stata probabilmente sempre la stessa – “molto british!” – lasciando di fatto intendere tutto e niente. A quel punto arrivavano spesso richieste di delucidazioni: mi riferivo al particolare abbigliamento cap and gown così differente dalle cerimonie italiane? Allo stile dell’evento? All’importanza e alla formalità attribuitagli? Era difficile rispondere.
Io e le mie colleghe abbiamo iniziato il Master, nel mio caso anche propedeutico al prosieguo della formazione come psicoterapeuta infantile, consapevoli – ma col senno di poi non così davvero consapevoli – di iniziare una formazione esperienziale, di stampo inglese, profondamente diversa dalla già conosciuta formazione italiana, prevalentemente teorica e nozionistica.
È stato un biennio trasformativo, tanto nel modo di “apprendere dall’esperienza”, per citare Bion, quanto internamente, nel modo di stare in relazione con l’altro. Anche la cerimonia, in questo senso, è stata qualcosa di molto esperienziale: non solo per la forma dell’evento in sé, che con le sue particolari ma simboliche caratteristiche ha permesso di celebrarne, in modo davvero autentico, il valore; ma anche per l’esperienza più profonda, colma di gratitudine e risonante con i vari discorsi dei docenti che si sono susseguiti e che hanno in qualche modo celebrato l’essenza del titolo che stavamo conseguendo: l’importanza e il valore della nostra esperienza interna, di quella dei nostri pazienti e delle famiglie che avevamo osservato e del legame tra questi due mondi, inteso come qualcosa di generativo e allo stesso tempo trasformativo.