Francesca Maria Bottari, Angela Salina ed Eleonora Testa raccontano la loro crescita professionale e personale durante il percorso formativo proposto dal Centro Studi Martha Harris.
Di Francesca Maria Bottari
Vedere il mondo in un granello di sabbia
e il cielo in un fiore di campo.
Tenere l’infinito nel palmo della mano
e l’eternità in un’ora.
(W. Blake, Auguri d’Innocenza, 1863)
L’Infant Observation è stata per me un’esperienza di straordinaria bellezza, di profondo dolore, di luminosa speranza, di rassicurante sollievo, di cruda e meravigliosa autenticità. Ha toccato corde del mio animo che non pensavo nemmeno potessero vibrare con così tanta potenza. Ha rappresentato una delle esperienze emotivamente più vere e intense che io abbia mai vissuto, che ha avuto sulla mia identità, personale e professionale, un immenso potere trasformativo. È stata un’esperienza totale, come una gravidanza.
Come una madre in attesa del suo bambino, quando decisi di intraprendere il viaggio verso questa “gravidanza osservativa” la mia mente era piena di fantasie, aspettative, rappresentazioni che davano vita ad una “bambina-esperienza” immaginaria e che, forse, mi aiutavano a gestire la paura dell’ignoto, che permea ogni nuovo inizio, e a perseverare nella ricerca di una famiglia disponibile ad accogliermi nell’intimità della loro casa e della loro vita, peraltro in un periodo storico in cui la paura dell’estraneo-untore era più forte che mai. Ricordo vividamente ogni istante del primo incontro con la “bambina-esperienza” reale. Fu così travolgente che, terminata l’ora di osservazione, mi persi fra strade a me sconosciute e, spaesata, disorientata e stordita, ci volle un po’ di tempo prima di riuscire a ritrovare la via verso casa… o pensare di utilizzare Google Maps!
Mi trovai davanti ad una realtà che non mi aspettavo, che non era così idilliaca come nella mia fantasia… ed era solo l’inizio. Mi domandavo come sarei riuscita ad osservare e tenere in mente ogni istante della vita emotiva di questo piccolo neonato che avevo il privilegio di conoscere e veder crescere di settimana in settimana, come sarei riuscita a trovare un posto nel delicato equilibrio di questa diade appena nata, come avrei fatto a non affogare tra i fiumi di parole di una madre così bisognosa di veder accolte, tenute e comprese le sue angosce e la sua fragilità… come sarei riuscita a scrivere di volta in volta il racconto di un’ora di universo dai moti apparentemente casuali e caotici?
Mi sembrava di osservare un quadro di J. Pollock.
Tuttavia, gradualmente, con pazienza, tollerando di stare nella difficile posizione di non sapere, non comprendere, non agire, imparando a mantenere la mia attenzione fluttuante, senza memoria e senza desiderio, ho scoperto che quello che stavo osservando non era un incomprensibile risultato, ma un affascinante processo. Non ero spettatrice esterna del prodotto finito, ero la tela che poteva ricevere veementi, meravigliosi, talvolta violenti fiotti di pittura e che poteva assistere ai potenti movimenti e significati emotivi ed inconsci che generavano quel particolare ed unico dipinto, apparentemente e solo apparentemente, senza significato.
Ho imparato a stare, in attesa, in silenzio, in ascolto, nelle luci e nelle ombre che non appartenevano solo alla vita emotiva e al fiorente mondo interno del piccino, ma parlavano anche della sua mamma, e di me. Eravamo tutti neonati, come bambino, come madre, come osservatrice e tutti dovevamo crescere e imparare a camminare per prove ed errori, apprendendo dall’esperienza, forse ogni tanto guardandoci indietro per ricordarci di quanti passi eravamo riusciti a fare e per non dimenticare mai di stupirci, di meravigliarci. “Anche noi eravamo così”, mi disse una volta la mamma con tenerezza commovente mentre accarezzava e allattava il suo bambino.
È come imparare una nuova lingua, si comincia dalla teoria, dalla “grammatica”, ma poi si scopre che trasferendosi nel Paese straniero “vedere il mondo in un granello di sabbia e il cielo in un fiore di campo” diventa sempre più possibile, e così gradualmente ci si ritrova a sorprendersi a scrivere delle diverse tonalità del pianto del bambino, dei movimenti delle dita della mano destra diversi da quelle della mano sinistra, delle venature emotive del suo sguardo, del suo respiro… e un po’ alla volta si impara a dare un significato ad ognuna di queste comunicazioni, in relazione alle dinamiche consce e inconsce che avvengono in quello specifico momento con la mamma o con chi si sta prendendo cura di lui.
Parallelamente, l’osservatore scopre di ricoprire per la famiglia talvolta il ruolo dello studente che desidera imparare di più sullo sviluppo dei bambini… altre volte quello di amico, confidente, sorella, fratello, madre, padre. Riuscire a mantenere la giusta distanza potendo restare emotivamente vicini e in ascolto è un compito delicato e talvolta difficile, ma qualunque ruolo vogliano affidarci le famiglie in un determinato momento, è sorprendente come la presenza costante e regolare di un osservatore pronto ad accogliere e tenere i momenti luminosi e felici, così come quelli più cupi e dolorosi, possa avere talvolta anche una valenza in qualche modo terapeutica.
Poter osservare lo sviluppo emotivo di un bambino che cresce e fiorisce nel e grazie all’affascinante intreccio delle relazioni consce e inconsce con la sua mamma, il suo papà, i fratelli, nel suo ambiente naturale dalla nascita sino al suo secondo compleanno, è un’esperienza straordinaria ma anche difficile, non solo per l’intensità emotiva che talvolta riattiva parti antiche anche nell’osservatore, ma anche perché ciò che è necessario per imparare ad osservare è l’immergersi completamente nell’esperienza, subirla, soffrirla, assaporarla… Per la maggior parte di noi si tratta di qualcosa di mai sperimentato prima all’interno di un percorso formativo. Tuttavia, è solo in questo modo che è possibile apprendere davvero, così come diventare contenitori sufficientemente buoni per le famiglie che accettano di intraprendere questo viaggio, ed anche poter essere d’aiuto in situazioni un po’ più delicate, com’è accaduto nella mia particolare esperienza.
In questo viaggio alla scoperta dei nuclei più profondi della vita e della mente umana, la luce che viene dal gruppo di lavoro e che illumina, guida e mostra il cammino è di vitale importanza. Come in una matrioska, la madre fa da contenitore al bambino, l’osservatore alla madre – quindi al bambino – e il gruppo all’osservatore. Poter portare al gruppo quanto si è osservato, i momenti più belli e commoventi, quelli più cupi e angoscianti, l’impotenza, le lacrime di dolore, quelle di fiducia e sollievo, poter pensare e stare insieme nel dubbio e nel caos che genera ipotesi e “stelle danzanti”, poter ascoltare le storie degli altri bambini osservati e i vissuti dei compagni osservatori, rappresenta un’esperienza di potente e indispensabile contenimento che un po’ alla volta diventa parte dell’osservatore stesso ed aiuta a dare un senso a quel dipinto apparentemente così indecifrabile. Il gruppo esterno diventa gradualmente un gruppo interno che accompagna e sostiene costantemente anche nell’assenza fisica, proprio come avviene per il neonato che scopre di poter stare un po’ senza la sua mamma esterna, poiché può fare affidamento alla sua mamma interna.
Questo prezioso processo, sempre supportato e illuminato dallo studio teorico, non resta certo limitato all’osservazione del neonato, ma si estende alla straordinaria esperienza dell’osservazione del bambino piccolo che si avvia parallelamente durante il secondo anno di Corso e, in generale, a tutte le situazioni di lavoro con bambini, adolescenti e famiglie, così come alle dinamiche che si creano con i colleghi o che appartengono al funzionamento istituzionale.
Imparare ad osservare è un apprendimento faticoso, che richiede di porsi di fronte a ciò che ci si palesa davanti agli occhi in modo umile, privo di giudizio e pregiudizio… “la mente è una cosa misteriosa”, ci dicono i nostri docenti. Tuttavia, sebbene faticoso e “catastrofico” credo che si tratti di un cambiamento che trasforma completamente il modo di approcciarsi alla vita in ogni sua manifestazione, è qualcosa che apre mondi e svela universi che neanche si pensava esistessero, un irrinunciabile strumento che ci aiuta ad entrare in contatto con l’autenticità di ciò che osserviamo e viviamo, a trovare istanti di bellezza anche nel terrore, poiché è vero.
Grazie a questa esperienza ho imparato a dare valore al tempo. Ho scoperto quanto può essere preziosa una sola ora di vita e quanta vita può esserci in una sola ora, e quanto prezioso può essere uno sguardo vivo, presente, contenitivo. Nella continuità dell’esperienza, ho riscoperto la mia curiosità di bambina nell’attesa di sapere quale storia avrebbe raccontato l’ora successiva e, gradualmente, ho scoperto che in me si stavano piantando delle solide radici che, se nutrite con cura e dedizione, avrebbero sempre sostenuto la mia crescita personale e professionale.
L’Infant Observation è una palestra indispensabile e profondamente (tras)formativa per coloro che desiderano diventare (o che sono già) Psicoterapeuti, secondo il mio parere preziosa per i professionisti di ogni orientamento, anche per coloro che si occupano di età adulta. Penso inoltre che rappresenti un’esperienza preziosa per chiunque lavori con bambini, adolescenti e famiglie e desideri approfondire, arricchire e ampliare il proprio approccio lavorativo, di qualsiasi figura professionale si tratti.
Aver avuto la possibilità di osservare, da una posizione così privilegiata, un neonato dalla nascita sino ai due anni all’interno del suo ambiente di vita naturale e nella normalità della quotidianità, veder nascere e crescere la relazione con la sua mamma e il suo papà, veder fiorire il suo mondo interno, la sua personalità, scoprire quanto un bambino così piccolo possa essere attaccato alla vita, quanto possa essere capace di perdono, speranza, amore, gratitudine, sentire crescere e diventare sempre più profondo e intimo il reciproco legame con la famiglia, è stata un’esperienza indescrivibile che sempre porterò nel cuore e nella mente. Con molta commozione, ricordo quando un giorno, dopo quasi due anni di intenso lavoro osservativo, e dopo un doloroso e trasformativo flusso di coscienza da parte della sua mamma, al momento del saluto venni raggiunta da un piccolino sgambettante e sorridente che mi corse incontro e mi donò un meraviglioso abbraccio… ed una scarpina. Forse quest’immagine vi aiuterà a comprendere la potenza di questa esperienza e la gratitudine che riempie i cuori di tutti noi che abbiamo potuto viverla. Per tornare alla metafora iniziale, si tratta di un’esperienza così autentica e straordinaria che viene voglia di una seconda “gravidanza”.
Mentre scrivo queste parole, poche settimane mi separano da un nuovo importante inizio, avendo deciso di proseguire questo viaggio con il percorso clinico della Scuola Quadriennale di Psicoterapia Psicoanalitica per Bambini, Adolescenti e famiglie Modello Tavistock e dentro di me le emozioni sono molte e molto intense. Tuttavia, grazie a quelle radici solide rappresentate dai docenti, dal gruppo, dalla Scuola, dallo studio del pensiero delle grandi e incredibilmente umane menti padri e madri fondatori della Psicoanalisi, e grazie a tutto ciò che mi hanno insegnato i bambini che ho osservato, ho meno paura di diventare grande, poiché ho riscoperto la capacità di sorprendermi e meravigliarmi della vita come una bambina.
Alcuni percorsi di formazione attivano un’immediata paura per la loro durata, per il tipo di impegno richiesto, per il numero di esami. Certamente il corso osservativo del Centro Studi Martha Harris rientra tra i percorsi che spaventano perché è difficile per lo studente che si trova a fare una scelta così importante, poter pensare al rapporto direttamente proporzionale che esiste tra la richiesta che viene fatta e quanto se ne riceve in cambio in termini di competenze e di sbocchi professionali. E’ complesso poter immaginare il potere trasformativo del corso Osservativo, il modo in cui la nostra attenzione possa diventare un finissimo e accurato strumento di osservazione dell’altro e delle interazioni umane, il modo in cui la nostra comprensione dell’altro passi in primis dalla capacità di osservarlo e di osservare noi stessi nell’atto di farlo, il modo in cui questo tipo di acquisizioni non conoscano limiti in termini di ambiti di applicazione, la scuola, le terapie intensive neonatali, la clinica, gli studi di logopedia, psicomotricità, fisioterapia e molti altri ancora.
Nella mia esperienza il corso osservativo è stato fondamentale e di immediato supporto nel mio ambito lavorativo dell’epoca che ne è stato arricchito in termini qualitativi, ma anche nella possibilità di rendere pensabili e attuabili nuovi sbocchi professionali. Un elemento rilevante è la possibilità che il corso offre di sviluppare delle competenze che rendono il professionista riconoscibile sia dagli addetti ai lavori che non, e proprio per questo ricercato come portatore di capacità di osservazione e analisi puntuali e accurate di persone e situazioni anche molto diverse tra loro.
La scelta di continuare con il percorso clinico, successivamente al corso osservativo, ha permesso di mettere al servizio della “cura dell’altro” la tecnica di osservazione acquisita e di integrarla con nuovi strumenti. Mi riferisco a quegli strumenti che si acquisiscono nel lavoro in gruppo sotto la supervisione di docenti che ci aiutano a dare senso e significato a ciò che accade nel qui ed ora della seduta, che ci aiutano a sviluppare una mente “di gruppo” che consente di pensare a quanto accade nelle stanze di terapia da angolature diverse, di tollerare le profonde sofferenze con cui arrivano molti dei nostri pazienti. E’ sorprendente quanto sia possibile toccare con mano, seminario dopo seminario, l’evoluzione nella nostra capacità di mettersi in condizioni di iniziare a lavorare o di migliorare il lavoro già avviato, del nostro modo di pensare al paziente, di stare con i vissuti che ci vengono portati in seduta e di utilizzare noi stessi come strumento per aiutare l’altro anche in condizioni assai complesse come ad esempio quelle di bambini molto piccoli che non parlano o di coloro che comunicano con modalità diverse da quelle della parola.
L’ Infant Observation è stata per me una delle esperienze emotivamente più coinvolgenti e complesse che mi sono trovata ad affrontare, che mi ha cambiato molto, sia come persona che come professionista.
Ha modificato il mio modo di osservare, di guardare, di ascoltare, di accettare di non sapere, di pensare e per queste ragioni di grande possibilità trasformativa, non si tratta di un’esperienza semplice.
Questo corso infatti, non offre soltanto conoscenze teoriche ma richiede un coinvolgimento personale, emotivo, mentale ed un impegno che influenzano la persona profondamente nella sua vita interiore.
Gli inizi, come ogni cosa nuova della vita, ci pongono davanti all’ignoto. Ricordo il disorientamento, la sensazione di stare facendo qualcosa al di fuori degli schemi e che per questo incuteva anche timore.
Mille domande giungevano alla mia mente: come si potrà convincere una famiglia a farsi osservare per due anni sempre lo stesso giorno alla stessa ora? Cosa osserverò in tutto questo tempo? Come potrò ricordare quello che ho osservato?
Al tempo stesso però, proprio perché non ordinaria, questa esperienza era per me anche incredibilmente affascinante, sentivo che mi incuriosiva per ciò che avrei potuto scoprire.
Mi ritrovavo così in un percorso formativo nel quale avrei osservato lo sviluppo emotivo di un bambino nella relazione con i suoi genitori e nell’ambiente naturale di crescita della famiglia. Come questo possa accadere esattamente però, non è molto chiaro all’inizio ma credo che per quanto ciò possa essere frustrante, uno dei punti chiave dell’esperienza risieda proprio nel non sapere. È proprio questo che rende possibile apprendere dall’esperienza, nel senso più autentico del termine e poter scoprire ed imparare per prove ed errori.
Credo sia per questa ragione che le emozioni possono giungere a noi senza filtri. Le ombre e i punti poco chiari che sembrano inizialmente caratterizzare questa esperienza e che possono creare timore in chi si appresta ad osservare, sono anche ciò che permette di vivere l’osservazione in modo pieno e profondo, di approcciarsi alla famiglia e al neonato, in un modo unico, proprio perché legato alla nostra unicità di osservatori e all’unicità della famiglia che osserviamo.
Questi aspetti si illuminano nel tempo, man mano che si trova un posto nella mente della famiglia e si costruisce il ruolo di osservatori. È un percorso formativo in cui si entra piano piano; è un lavoro che richiede cura e tempo.
Può essere difficile trovare le parole per raccontare un’esperienza così particolare; per questo forse quando mi ritrovo a spiegare in cosa consista questo corso, più facilmente parlo di come consenta di osservare lo sviluppo emotivo di un bambino, di come nasca ed evolva la relazione tra un neonato e chi si prende cura di lui, ma quello di cui parlo meno spesso perché più complesso, è l’effetto che questa esperienza ha avuto su di me.
Mi ha regalato una profonda capacità osservativa che non pensavo esistesse; tutti noi siamo abituati a guardare, ma riuscire ad osservare i movimenti di un neonato, ad esempio come muove le dita della mano, come scalcia o gira la testa, come piange o sorride, a cogliere le espressioni del suo viso e da questo cercare di comprendere cosa emotivamente sta sentendo, è un’osservazione raffinata che ci permette di scoprire molto riguardo alle persone perché ci introduce al loro mondo emotivo interiore.
Penso che questo corso sia come una palestra per la mente, che porta ad allenare costantemente la capacità di pensare, di osservare, di immaginare. È un allenamento che va oltre quello che si è imparato professionalmente o quello che si crede di sapere ed è per questo che a volte diventa impegnativo emotivamente e mentalmente. Oltre ad osservare, si scopre e si impara la capacità di “stare con”, di partecipare, di essere vicino a quello che accade alla mamma e al bambino in un modo nuovo e di sviluppare la nostra capacità empatica. Credo infatti di aver imparato come si possa essere vicini, pur mantenendo una distanza, facendo sentire all’altro quanto lo si ascolta e lo si comprende.
Osservare significa anche saper sostare, a volte anche in una posizione scomoda, ma mantenendo la propria capacità di pensare. Ci si trova nelle case nei momenti più comuni di vita quotidiana ma anche in quelli più dolorosi, intensi o felici. Ogni volta che ci si reca in casa del bambino che osserviamo, in una sorta di rituale, sempre alla stessa ora e allo stesso giorno, troveremo un’atmosfera diversa, un bambino diverso, uno stato d’animo differente. Per tali ragioni, il coinvolgimento emotivo che questo lungo viaggio osservativo comporta non può essere sottovalutato. È un percorso arricchente e impegnativo, in cui si partecipa intimamente ai primi momenti di vita di un neonato, alle preoccupazioni e alle gioie dei genitori che iniziano a conoscere il proprio bambino. Contrariamente a quanto si possa pensare, questa osservazione pur essendo silente, non è distaccata. Vi è un profondo legame emotivo e personale che si viene a creare con la famiglia e il bambino, e come ogni legame necessita di cure.
Ritrovarsi all’interno di un ambiente privato e intimo come quello familiare espone ad entrare in contatto con i timori dei genitori e con le angosce del bambino. All’interno di una stessa ora ci si può così sentire partecipi delle sofferenze di un neonato che in quel momento piange e non viene compreso e poco dopo della fatica di una mamma timorosa di sbagliare. Tutto questo ha un grande impatto emotivo, che ci trasforma profondamente.
In questo viaggio però non si è soli. Il gruppo con cui si lavora, costituito da persone con formazioni diverse, con le quali si condivide questa esperienza è di aiuto fondamentale.
Il gruppo diviene un contenitore capace di accogliere e contenere le emozioni e gli stati mentali dolorosi o complessi che ci si trova ad affrontare. Si condivide la fatica, la diversità delle esperienze di osservazione, si scopre come ognuno abbia un proprio modo di relazionarsi; si impara moltissimo anche dalle osservazioni che i colleghi portano avanti.
In questa esperienza formativa c’è anche una grande parte dedicata alla scrittura. La stesura settimanale dei protocolli osservativi, dove si riporta quello che si è osservato, richiede tempo. Inizialmente sembra qualcosa di impossibile, non si sa bene cosa scrivere…piano piano si scopre di ricordare sempre più dettagli, di riuscire a mettere in relazione gli avvenimenti che si osservano, per scoprire che quelli che sembrano eventi sconnessi hanno in realtà una sequenza tra di loro, sono come una storia a cui abbiamo il privilegio di assistere e a cui anche noi partecipiamo.
Questo corso, ci pone in contatto con spazi e tempi sconosciuti, con esperienze di noi stessi bambini che pensavamo di non ricordare, permettendoci anche di entrare maggiormente in contatto con la nostra parte bambina interiorizzata.
Per questo per ciascun partecipante, diviene un’esperienza formativa molto personale, da cui è impossibile non uscirne profondamente trasformati e arricchiti.
Il lavoro che viene fatto costantemente, non è qualcosa che si nota immediatamente, ma piuttosto è una lenta e graduale, ma inevitabile modificazione interna, che ha anche degli effetti sul proprio modo di lavorare. Nella mia esperienza lavorativa, ho potuto vedere come il mio lavoro cambiava e io diventavo più in grado di comprendere cosa accadesse intorno a me, più in grado di ascoltare, di lasciare uno spazio nella mia mente per pensare anche quando mi ritrovavo nel caos, di sospendere il giudizio, per cercare di riflettere e comprendere più profondamente.
La capacità osservativa che si apprende in questo corso è come una goccia che scava la roccia nella nostra mente, per aprire un varco, per lasciare spazio al pensiero e permettere di acquisire nuovi modi di vedere e di sentire. Tutto questo, nel lavoro con i bambini, gli adolescenti e le famiglie nelle sue varie forme, credo sia davvero uno strumento prezioso che arricchisce la professionalità, che dà nuovi strumenti da mettere in atto nel proprio lavoro, rendendoci più saldi, più consapevoli e soprattutto più in grado di tollerare anche situazioni ignote, sconosciute, difficili, come quelle che spesso ci si trova ad affrontare nel lavoro con i bambini gli adolescenti e le loro famiglie.
Appassionatamente mi sono tuffata in questo mondo e ho cercato di nuotare, tollerando il timore di trovarmi in un mare sconosciuto; è un salto che consiglierei a tutti coloro che sono interessati al lavoro con e per l’infanzia e l’adolescenza.
In questo percorso si è su una buona e stabile barca rappresentata dai docenti, dal gruppo, dalla scuola stessa, che sostiene e affianca, aiutando ad attraversare il guado per arrivare sulla riva opposta. In mezzo c’è un bellissimo viaggio da percorrere che vi lascerà la voglia di continuare l’avventura.