ADOLESCENCE:
uno sguardo psicoanalitico sulla fragilità contemporanea,

di Giuditta Caldana, allieva II anno Corso Clinico.

miniserie su Netflix

Gli studenti in training, moderati da Roberta Mondadori e Cristiano Nicotra, si sono ritrovati a riflettere, con occhi psicoanalitici, su Adolescence, la serie Tv che ha suscitato un ampio interesse raccontando il territorio criptico dell’adolescenza, caratterizzato da fragilità e violenza, tenerezza e contraddizioni.
Stephen Graham, ideatore della serie e interprete del padre di Jamie, ha dichiarato di essersi ispirato a diversi casi reali avvenuti nel Regno Unito negli ultimi anni.
La serie si compone di quattro episodi che seguono, attraverso un unico piano sequenza, le diverse prospettive relative all’omicidio di una ragazza adolescente di cui Jamie, un ragazzo di 13 anni, viene accusato.
Attraverso questo impianto narrativo, emerge una riflessione profonda e inquietante su come la società contemporanea influenzi e plasmi la percezione del femminile nei giovani maschi.

Nel tentativo di approfondire la comprensione di un mondo sempre più difficile da decifrare, si riportano alcune riflessioni su tematiche emerse durante l’incontro.

1. Padri e mascolinità

Il primo tema emerso riguarda il rapporto degli adolescenti maschi con la propria mascolinità, spesso vissuta come diversa da quella trasmessa dalle figure maschili di riferimento. Con che tipo di padre, un maschio si deve confrontare, con che tipo di padre interno?

Jamie sembra non opporsi alla mascolinità paterna: la idealizza, il padre “è il suo eroe”. Tuttavia, con il tempo, il ragazzo si scontra con la realtà, ovvero, con il fatto di non essere come suo padre o come quest’ultimo vorrebbe che lui fosse: a Jamie non piacciono gli sport, non è portato per il football o la boxe.

Allo stesso tempo, Jamie non sembra essere stato accettato nella sua “non-mascolinità”: il padre volge lo sguardo quando lo vede giocare maldestramente a football o quando subisce vessazioni da parte dei genitori degli altri ragazzi sugli spalti. Il padre chiude gli occhi, e Jamie si sente rifiutato per non essere abbastanza “maschile”. Anche quando il padre, fino all’ultimo, vuole affidarsi alla dichiarazione di innocenza del figlio, sembra agire un meccanismo di difesa, chiude gli occhi (Steiner, 2004).

Si pensa ad una trasmissione transgenerazionale della rabbia, dell’umiliazione, della vergogna: a partire dal nonno, violento e umiliante con il padre di Jamie, al padre stesso, fino a Jamie, che agisce in maniera drammatica un groviglio emotivo mai metabolizzato, mai elaborato. Circola nel seno familiare una rabbia potente, un’emotività non ammessa, non voluta guardare. Viene in mente Bion (1995) e la teoria degli affetti quando parla dell’odio: se tutto nasce comerabbia (meno dell’odio), il mancato contenimento, la non metabolizzazione, il voltare lo sguardo, conducono inevitabilmente alla catastrofe.

2. Contenimento materno

Un secondo tema riguarda il contenimento materno. Ci siamo chiesti se la madre, figura quasi marginale nella serie, sia stata una madre non contenitiva oppure una madre rifiutata dal figlio. Sembra esserci stata una mancata comunicazione affettiva tra madre e figlio, a differenza del rapporto tra madre e figlia. Jamie pare sprezzante verso la madre, ad esempio, nelle risposte sminuenti date alla psicologa (“fa un buon arrosto”) o quando sceglie il padre come tutore legale. Nella mente di Jamie sembra esserci un disprezzo verso la femminilità.

È interessante notare che, durante le fasi dell’arresto, tutti chiedono a Jamie se preferisca il padre, dando per scontato che debba scegliere lui, senza chiedergli apertamente chi desideri accanto. Tutto il mondo maschile sembra dare per scontato che Jamie sceglierà il padre o dovrebbe scegliere il padre.

D’altra parte, sembra esserci una madre impegnata a fare i conti con quello che non ha voluto o potuto vedere. Entrambi i genitori hanno distolto lo sguardo per difendersi da qualcosa che circolava in modo potente e silenzioso: la rabbia.
Ci chiediamo chi abbia ucciso in fantasia, Jamie. Forse ha ucciso una madre da cui non si è sentito abbastanza contenuto, supportato?

3. Un buon incontro

Il terzo episodio è incentrato sul colloquio psicologico: scene molto potenti, nelle quali Jamie sembra per la prima volta sentirsi “tenuto in mente”, contenuto da qualcuno che si sforza, con fatica e timore, di conoscerlo (Bion, 1977). Tutto ciò sembra permettere un transfert molto intenso verso la dottoressa.

Jamie entra in relazione con la psicologa-donna, non si ritrae, non sembra avere dentro di sé un narcisismo distruttivo. La psicologa, a sua volta, sembra vivere un’intensa esperienza di controtransfert di fronte alla potenza dell’odio e delle pulsioni omicide del ragazzo. Complicato quanto necessario, per la dottoressa, attraversare e superare i suoi attacchi e rimanere infrangibile, non morire. Quando la dottoressa torna, dopo aver sentito il bisogno di uscire dalla stanza, comunica indirettamente a Jamie “non mi hai distrutta”, il ragazzo può forse riconoscere di non essere così mostruoso.

Il colloquio rivela uno sforzo autentico di conoscenza, una mente a lavoro. Jamie viene nutrito, si sente visto e riesce ad avvicinarsi a qualcosa di autentico: entra in contatto con la verità e la realtà.

Nel corso del colloquio, Jamie mette in atto, meccanismi di difesa: dapprima la scissione (non riconosco che sono io la persona umiliata), in seguito la negazione, e infine la proiezione (è l’altro che deve essere umiliato). La fine improvvisa e violenta del colloquio ci fa domandare come mai non sia stata annunciata con anticipo; Jamie sembra aver incontrato un “buon oggetto” e non vuole perderlo. Forse avrebbe voluto sentirsi dire che era desiderato, come un bambino che chiede alla mamma “ti piaccio? Mi trovi bello?” o che ha bisogno di chiederlo perché non è convinto di ciò che la madre pensa.

In così pochi incontri, la psicologa è riuscita ad avvicinarlo, ad incontrarlo in profondità. Ci chiediamo: se Jamie avesse incontrato uno/a psicoterapeuta, durante la sua crescita, avrebbe potuto non fare quello che ha fatto? Non agire l’odio, la rabbia?Nel commovente dialogo tra i genitori emerge la frase “avremmo potuto fare qualcosa prima”; la scena finale, in cui il padre rimbocca la coperta all’orsetto peluche di Jamie, sembra comunicare “io mio figlio non l’ho capito mai, fin da quando era bambino”. Un’immagine che racconta la fatica genitoriale del tenere a mente un processo di crescita autentico per i propri figli.

4. Scuola come recinto

Un’ulteriore riflessione riguarda la scuola, la quale, nella serie, emerge come recinto, un luogo superegoico, espulsivo e non come un contenitore di pensiero che riesce ad incubare lo sviluppo e a permettere il sostegno di processi evolutivi. Le insegnanti non riescono a mantenere i limiti, vi è una mancanza di contenimento, l’istituzione-scuola si rivela non in grado di avere una sufficiente tenuta e stabilità per promuovere i processi di elaborazione delle ansie che si sviluppano al suo interno. La scuola non si configura come rifugio (Steiner, 1993) che possa aiutare, chi la vive, a difendersi dalle forti angosce schizoparanoidi e depressive, che possa fornire sicurezza e protezione da un mondo esterno vissuto come ostile e pericoloso.

5. Il linguaggio adolescenziale

Infine, è stato affrontato il tema riguardante la difficoltà del mondo adulto nell’entrare in contatto con la dimensione criptica, nascosta delle comunicazioni adolescenziali. Il lessico delle emoji da forma ad un linguaggio segreto da cui gli adulti devono rimanere esclusi: è il linguaggio del branco. Quando le voci interne (non devi mangiare, buttati dalla finestra, non vali niente) trovano un riscontro all’esterno, sui social, sui contenuti online, possono solo che amplificarsi, rafforzarsi.

Il primo ministro inglese, dopo il grande successo della serie, ha annunciato l’urgenza di intervenire sull’utilizzo dei social network, sembra emergere l’idea che si debba intervenire su questa illimitatezza. Interessante il fatto che l’espressione Brain Rot (“marciume cerebrale”) sia stata scelta come parola dell’anno dall’Università di Oxford per indicare uno stato di deterioramento mentale dovuto all’utilizzo intenso di social o, in generale, contenuti online, considerati banali o alienanti.

Conclusione

Si pensa che un buon psicoanalista debba mantenere un contatto vivo con lo spirito culturale e con lo spirito del tempo, per poter leggere e approfondire con curiosità, coraggio e senza giudizio, ciò che accade nella mente dei giovani pazienti.

Bibliografia
  • Bion, W.R. (1977). Second thoughts. Jason Aronson, New York.

  • Bion, W. R. (1995). Gli elementi della psicoanalisi. Armando Editore.

  • Steiner J. (2004) Psychoanal., 85: 269-284.

  • Steiner J. (1993). Psychic retreats. London: Routledge (trad. it. I rifugi della mente. Torino:

    Bollati Boringhieri, 1996).

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