Centro Studi Martha Harris di Palermo
Riflessioni sul Workshop ” In buona compagnia” di
Lucia Cassia
Specializzanda in Psicoterapia Psicoanalitica per Bambini, Adolescenti e Famiglie
Modello Tavistock- Csmh Palermo
Nel mio percorso formativo come psicoterapeuta, ogni occasione di confronto teorico e pratico rappresenta un’opportunità per approfondire la comprensione del funzionamento umano e per affinare il mio sguardo clinico.
Si è appena concluso il workshop organizzato dal Centro studi Martha Harris di Palermo “In buona compagnia”, un’esperienza che si è rivelata particolarmente intensa e stimolante. Il clima che si respirava era di grande attenzione e partecipazione: ognuno dei partecipanti, nel presentare un capitolo del libro “Il tempo dei padri” di Sarah Blaffer Hrdy, scelto dalla Dott.ssa Maria Luisa Mondello come guida per il lavoro comune, ha portato al gruppo riflessioni personali, interrogativi clinici e vissuti professionali, che hanno arricchito la discussione collettiva. La lettura condivisa ha rappresentato solo un punto di partenza: da lì si sono sviluppate conversazioni stimolanti e “vivificanti” in cui teoria ed esperienza si sono intrecciate in modo generativo. È stato un momento di scambio vivo, in cui il pensiero si è fatto gruppo, offrendo nuove angolature per osservare il lavoro terapeutico e la complessità del prendersi cura.
È un momento particolare per me, il training all’interno della scuola sta per giungere al termine, è tempo di sintetizzare e “ripensare” alle mie esperienze cliniche ed il tema della cura, declinato attraverso prospettive evolutive, antropologiche e cliniche, ha offerto spunti significativi per leggere ancora – sotto una nuova luce- le storie che in questi anni ho avuto negli occhi e nella mente.
Quella che segue è una riflessione nata a partire da questo contesto: un’occasione per soffermarmi su quanto appreso, su ciò che si è mosso dentro di me e sulle implicazioni che questo nuovo sguardo potrà avere nel mio lavoro futuro.
Per lungo tempo si è dato per scontato che l’accudimento dei bambini fosse un compito esclusivamente femminile, mentre agli uomini toccavano altri ruoli, come se questa divisione fosse inscritta nella natura biologica e sociale in modo immutabile. Sarah Blaffer Hrdy, antropologa, psicologa e primatologa statunitense, nel suo libro “Il tempo dei padri” ci invita a mettere in discussione questa convinzione, dimostrando che la cura infantile non è una competenza unicamente materna. Gli uomini, infatti, mostrano capacità altrettanto significative e sviluppano risposte fisiologiche simili a quelle delle donne nell’accudimento dei figli. Ripercorrendo la storia evolutiva della nostra specie, dal Pleistocene fino ai mammiferi, e oltre, Hrdy rivela come la cura sia da sempre un processo cooperativo, inserito in reti relazionali complesse e plurali.
Dal punto di vista clinico, questa visione ha profonde implicazioni pratiche. Innanzitutto, ci spinge a non applicare modelli familiari rigidi o stereotipati, spesso radicati in convinzioni culturali e sociali obsolete. Per il clinico, ciò significa adottare uno sguardo più aperto e flessibile, capace di “stare” dentro la molteplicità delle forme familiari, riconoscendo e valorizzando le risorse esistenti nelle reti di relazione di ogni paziente. Non si tratta più di cercare la “famiglia ideale” o il “ruolo perfetto” da ricoprire, ma di comprendere “la realtà reale” che attraversa ciascun sistema familiare. Ed è proprio questo concetto di “realtà reale” a divenire oggi, più che mai, un terreno cruciale di osservazione e riflessione. Le dinamiche familiari contemporanee sono profondamente cambiate: famiglie ricostituite, monoparentali, omogenitoriali, famiglie migranti o allargate sono sempre più diffuse e pongono nuove domande sul modo in cui si costruiscono i legami affettivi e si distribuiscono le funzioni di cura. La realtà reale, allora, è fatta di quotidianità complesse, di tentativi, di adattamenti, di risorse spesso invisibili, di resilienze silenziose.
È fatta anche di fatiche, di ambivalenze, di assenze e discontinuità, ma è proprio in questo intreccio dinamico che prende forma il tessuto dell’esperienza familiare concreta. Come clinici, siamo chiamati a sostare in questo spazio vivo, incerto e mobile, a offrire uno sguardo che sappia cogliere il valore evolutivo delle relazioni.
Nel lavoro clinico, ciò si traduce in una maggiore attenzione alle risorse relazionali presenti nella rete familiare estesa, valorizzando tutti i ruoli come quelli dei padri, dei nonni o di altre figure significative.
La sfida per il terapeuta è quindi quella di lavorare su modelli flessibili e co-costruiti con i pazienti, evitando schemi prescrittivi basati su ruoli di genere rigidi, che rischiano di ignorare le reali esperienze e dinamiche in gioco. Inoltre, il riconoscimento della cura come processo cooperativo e biologicamente condiviso è supportato dagli studi di neuroscienze affettive che documentano come, anche nei padri, si attivino circuiti neurobiologici legati all’empatia e alla regolazione emotiva durante l’interazione con i figli. Questo dato neuroscientifico rafforza la possibilità clinica di promuovere e sostenere nei padri un coinvolgimento attivo nella cura, con effetti positivi sul benessere infantile e sulla qualità delle relazioni familiari. In sintesi, l’insegnamento di Hrdy rappresenta per il clinico una lente epistemologica e metodologica preziosa: una guida per osservare e accompagnare la complessità delle famiglie contemporanee con curiosità, rispetto e apertura, favorendo l’attivazione delle risorse relazionali che possono sostenere la crescita e il benessere di bambini e adulti.
Lucia Cassia, specializzanda in Psicoterapia Psicoanalitica per Bambini, Adolescenti e Famiglie presso il Centro studi Martha Harris di Palermo